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Il più grande hack di bitcoin: la storia di Mt.Gox

Oggi siamo abituati a fare un bonifico e acquistare le nostre criptovalute preferite senza nessun tipo di problema (o quasi).

Negli anni passati, acquistare bitcoin era un’impresa che richiedeva tempo e conoscenze.

I grandi exchange erano pochi e gli scam all’ordine del giorno: una sorta di far west in cui non esistevano vere e proprie regole.

È in questo contesto che è si è sviluppato il più grande hack della storia.

Il caso Mt.Gox

Quando tutto ebbe inizio

Mark Karpèles, un programmatore che vive in Giappone, acquista un sito – nato nel 2006 – di nome mtgox.com. Inizialmente l’utilizzo consiste nel permettere lo scambio di carte Magic tra appassionati. (da qui il nome mtgox: “Magic: The Gathering Online eXchange”.)

Il servizio però non funziona ed ecco che Mark Karpèles, una volta acquistato il sito nel 2010, lo trasforma in un exchange di criptovalute.

A questo punto il progetto comincia a decollare: nel giro di qualche anno Mt.Gox arriva a gestire il 70% di tutte le transazioni bitcoin nel mondo e diventa così l’exchange di riferimento.

I primi problemi

All’apice del successo, nel 2014, arriva la sorpresa amara: gli utenti si ritrovano un messaggio che comunica la sospensione di tutti i prelievi in attesa di verifiche.

Il motivo sembra essere un problema nel loro sistema di registrazione, chiamato vulnerabilità delle transazioni: quando due utenti si inviano bitcoin, questa vulnerabilità permette di modificare la transaction ID. Attraverso questa modifica si può fingere di non aver ricevuto le criptovalute che ci sono state inviate, facendo così replicare la transazione.

Nelle settimane successive esce un documento in cui viene descritta la strategia di Mt.Gox per evitare di fallire: si scopre che nei precedenti 3 anni erano stati rubati da Mt.Gox 744.000 bitcoin.

Questa notizia crea il caos in tutto il mercato: nel giro di qualche giorno il sito viene chiuso e dichiarata bancarotta.

È la fine di Mt.Gox.

Proteste

Le conseguenze

Circa 130.000 creditori vogliono indietro le loro crypto e com’è ovvio si aprono diverse cause legali. Viene istituito un curatore fallimentare che porta alla luce un conto della società di circa 200.000 bitcoin, utilizzabile come risarcimento.

Ma qui nasce un problema. La legge vigente in Giappone non permette il risarcimento in crypto ma soltanto nella valuta locale. Vendere 200.000 bitcoin significa rischiare di far collassare il mercato: la capitalizzazione totale è di appena 13.000.000 $ e un bitcoin vale meno di 1000$.

Si pensa di procedere over the counter ma ciò non elimina il rischio: un minimo effetto sul mercato avviene in ogni caso in modo indiretto. La soluzione quindi è quella di procedere in trance di vendita nel corso degli anni.

Questa decisione ha causato non pochi malumori da parte di diversi creditori che hanno ricevuto il risarcimento anni dopo, quando il valore di bitcoin era molto più alto.

Le condanne

Mark Karpèles

Nel 2019 il Tribunale di Tokyo dichiara colpevole il CEO di Mt.Gox Mark Karpèles e lo condanna a 2 anni e 6 mesi di reclusione.

L’esecuzione della sentenza è stata poi sospesa: Karpèles non dovrebbe andare in carcere. L’imputato è stato ritenuto colpevole solo di manomissione di documenti finanziari, mentre è stato assolto dall’accusa di appropriazione indebita.

Sempre nel 2019 annuncia il suo ritorno nel mondo dell’imprenditoria: l’obiettivo è sviluppare un sistema operativo sicuro basato su blockchain. Il suo ruolo sarà quello di responsabile tecnologico.

Inoltre, ha scritto anche un libro dal nome Cryptocurrency 3.0: gli editori parlano di lui come una delle migliori menti del mondo delle criptovalute.

Insomma, a volte ritornano.

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